MT76: Cul-de-sac

 



Venti di recessione. Dopo la Germania ecco che anche l’Italia va in contrazione: dopo aver registrato una sorprendente espansione dello 0,6% nel primo trimestre del 2023, il Prodotto Interno Lordo italiano si è contratto dello 0,3% nel secondo, facendo peggio del previsto. Secondo il Mef, il dato negativo nel secondo trimestre non influisce sulla previsione annua formulata nel Def. Probabile che invece a fine anno potremo ritrovarci qualche sorpresa nei calcoli, oppure una semplice revisione.



Il Pil italiano cala a sorpresa nel 2° trimestre | Il Sole 24 Ore


Il sintetico comunicato stampa dell'Istat indica che la flessione trimestrale è stata trainata dalla domanda interna (al lordo delle scorte), mentre le esportazioni nette hanno neutralizzato la crescita. Dal lato dell'offerta, l'Istat rileva che il valore aggiunto si è contratto sia nell'industria che nell'agricoltura e si è espanso marginalmente nei servizi. Dati alla mano con due chiusure negative del Prodotto Interno Lordo si entra tecnicamente in recessione.



-0.3% l’ultima rilevazione del Pil Italiano | Istat


Come immaginavo, il primo trimestre molto positivo sarebbe stato difficile da replicare nel secondo, ma credevo che la tenuta dei servizi potesse riuscire a compensare marginalmente la contrazione dell'industria. A quanto pare, non è stato così. Sul fronte della domanda, la debolezza degli investimenti privati e delle scorte è stata alla base della sorpresa negativa, mentre i consumi privati sono riusciti a rimanere in territorio positivo grazie a un mercato del lavoro ancora resistente (disoccupazione poco sopra il 7%) e a un'inflazione in decelerazione. Dopo la stima preliminare per il secondo trimestre, il carryover statistico per la crescita del Prodotto Interno Lordo dell'intero anno si attesta allo 0,8% e la pubblicazione della scorsa settimana alimenta i rischi al ribasso per il 2023. I dati sulla fiducia delle imprese di Luglio sono stati contrastanti, con un ulteriore calo nel settore manifatturiero e miglioramenti nei servizi (turismo e trasporti) e nelle costruzioni (lavori specializzati). Attenzione al terzo trimestre che potrebbe sancire definitivamente l’arrivo di una recessione, seppur lieve nelle attese.



L’indice dei prezzi al consumo continua a scendere: 6% a Luglio 2023 | Istat


L'indebolimento dell'economia ha forse contribuito a raffreddare l'inflazione a Luglio. I dati preliminari sull'inflazione, anch'essi pubblicati la scorsa settimana, confermano che il percorso disinflazionistico è ancora in atto, sia per le misure headline che per quelle core. L'inflazione complessiva è scesa al 6% (dal 6,4% di Giugno), soprattutto a causa della decelerazione dei servizi di trasporto e dei beni energetici non regolamentati. La decelerazione dell'inflazione di fondo al 5,2% (dal 5,6% di Giugno) è di per sé un fattore confortante, favorito dal calo dei servizi, ma non si può dare per scontato un tasso di diminuzione simile nella seconda metà dell'anno. Il dato sull'inflazione è comunque in linea con le attuali proiezioni delle Bce, che indicano una lettura media del 6,5% per il 2023. La lotta all’inflazione è più viva che mai e siamo ancora lontanissimi dal target.

Il cul-de-sac della Federal Reserve

Nell’ultima riunione del FOMC, come ampiamente previsto la Federal Reserve ha alzato all'unanimità i tassi di interesse di riferimento di 25 punti base, mantenendo nel comunicato la formulazione secondo cui un ulteriore irrigidimento delle politiche "potrebbe essere appropriato". I mercati e gli economisti vedevano poche possibilità di un risultato diverso e il dibattito principale verteva sulla possibilità che la Fed ammorbidisse il suo linguaggio e passasse a una posizione più neutrale dipendente dai dati. Invece il consiglio direttivo ha effettivamente mantenuto il suo orientamento restrittivo, indicando la direzione verso un ulteriore irrigidimento della politica. Powell durante la lettura del comunicato ha fatto nuovamente riferimento all'aggiornamento delle previsioni di Giugno, segnalando la probabilità di un ulteriore rialzo dei tassi nel corso dell'anno. Nel frattempo, il comunicato ha descritto un'espansione dell'attività a "ritmo moderato", un mercato del lavoro "robusto" e un'inflazione che rimane "elevata” (la core non scende quanto dovrebbe). L’orientamento da falco del consiglio direttivo e la conferenza stampa di J-Pow ha suggerito che la mentalità della Fed rimane incentrata sul garantire che l'inflazione ritorni al target di sostenibilità anche se ciò comporta il rischio di una recessione: a mio parere è stata estremamente significativa e sincera la consapevolezza nel dire che se i rialzi continuano a questo ritmo qualcosa si romperà.



La Federal Reserve aumenta i tassi al 5,50%: questo è il più grande ciclo di inasprimento in oltre 40 anni | True Insights


Da qui alla prossima riunione del 20 Settembre avremo ricevuto altri due rapporti sull'occupazione e sull'inflazione, un aggiornamento dettagliato sullo stato dei prestiti bancari e più tempo per far sentire gli effetti ritardati della stretta già attuata dalla Fed. L'inflazione globale potrebbe essere un po' più alta di quella attuale, a causa delle variazioni dei costi energetici, ma la politica monetaria può fare ben poco al riguardo. Tuttavia, l'inflazione di fondo sembra destinata a rallentare ulteriormente e potrebbe attestarsi intorno al 4% rispetto all'attuale 4,8%, data la decelerazione dell'inflazione degli affitti delle abitazioni e il calo dei prezzi delle auto usate. Per quanto riguarda l'attività, l'industria manifatturiera è in evidente difficoltà (vedi dato ISM, ndr), ma il mercato del lavoro rimane rigido e il settore dei servizi continua a espandersi. Nei prossimi due mesi tuttavia, ritengo che i venti contrari all'attività si intensificheranno, con prestiti delle banche commerciali destinato a diminuire ulteriormente grazie alla combinazione di un aumento dei costi di finanziamento, che Powell ha definito "restrittivi", e di un inasprimento degli standard del credito.



Il Fed Funds Rate è ora superiore del 2,4% al tasso di inflazione. L'ultima volta che la politica monetaria è stata così restrittiva è stato nell'agosto 2007 | Charlie Bilello


E’ molto probabile quindi che nel prossimo incontro andremo verso un’altra pausa, non un inversione. Credo che qualora non volessimo trovarci in un imbuto, una strozzatura delle condizioni economiche, i rialzi debbano terminare velocemente. In caso contrario il rischio shock è molto probabile nel Q4 o al massimo all’inizio del 2024. Sarebbe molto meglio ricevere “un segnale” un qualcosa che dica apertamente che la situazione sta sfuggendo di mano, così da auspicarsi una contrazione, seppur salutare, nel Q3, con una Fed che dichiara apertamente di aver finito con i rialzi dei tassi. A quel punto le carte in tavola sarebbero apparecchiate e la Fed potrebbe avere il coltello dalla parte del manico, maneggiandolo con il meccanismo della liquidità (aumento o diminuzione del bilancio federale, balance sheet). La verità è che siamo finiti in un cul-de-sac e per uscirne ci vorrà un sac de cul!

La Bce continua a perseguire il suo unico obiettivo

La Banca Centrale Europea, esattamente come la sua omonima Federal Reserve, ha aumentato i tassi di interesse principali di 25 punti base come da attesa. Il tasso di interesse sui depositi è ora al 3,75%. L'aspetto più interessante è che il comunicato di accompagnamento ha mantenuto aperta la porta a ulteriori rialzi dei tassi e non ha espresso una nota di maggiore cautela, mettendo ancora più pressione ai titoli di stato. Dopo averlo di fatto preannunciato a Giugno, era difficile non aumentare i tassi di interesse nell’ultima riunione. La Bce è stata troppo esplicita sul fatto che il rischio di interrompere prematuramente i rialzi dei tassi è molto più alto di quello di andare troppo oltre: l’unico obiettivo di politica monetaria è ostacolato dall’inflazione core che probabilmente sarà difficile da domare durante il Q3 in Europa, solitamente presa d’assalto da tutto il mondo in questo periodo estivo.



Il tasso d’interesse dell’Eurozona sale al 3.75% | BCE


Tuttavia, la recente serie di dati negativi provenienti dall'Eurozona, ovvero PMI e indice Ifo (di cui ho parlato in maniera approfondita nelle precedenti lettere), insieme ad un altro calo della domanda di nuovi prestiti bancari e standard di prestito più severi, devono aver avuto un impatto terrificante sul sentiment dei membri del governing council, anche se ciò non si è riflesso nella dichiarazione di politica monetaria. In effetti, la Banca Centrale Europea corre nuovamente il rischio di essere in ritardo rispetto alla curva. Questa volta non per essere stata troppo benevola sull'inflazione, ma piuttosto per essere stata troppo ottimista e troppo benevola sull'impatto economico delle sue stesse misure politiche.

In prospettiva, il primo annuncio dello statement tiene aperta la porta a ulteriori rialzi dei tassi per Settembre. La menzione di un'inflazione in calo ma che rimane al di sopra dell'obiettivo "per un periodo prolungato" non fa pensare che la Bce sia ancora disposta a smettere di aumentare i tassi. In effetti le proiezioni della Bce sulla crescita e sull'inflazione a Settembre dovranno essere riviste al ribasso in modo significativo per impedire alla banca centrale di aumentare i tassi almeno un'altra volta. Tutto questo si riflette in maniera molto evidente nei movimenti dei titoli di stato domestici (Btp) ancora piallati sui minimi, mentre consulenti ed economisti annunciano grossi acquisti da sotto l’ombrellone. Ma di acquisti neanche l’ombra, mentre la pressione rimane forte. 

Altro punto molto importante sottolineato dalla Lagarde è la disattivazione del pilota automatico: a questo punto della partita il gioco è molto più complessa e la sensazione all’interno del consiglio direttivo è quello di tornare ad essere totalmente dipendente dai dati.

Cosa si intende per pilota automatico?Fu proprio Mario Draghi uno dei primi a dare questa definizione alle politiche della Bce. Il pilota automatico sarebbe quel meccanismo “virtuoso” per cui, qualsiasi siano le condizioni politiche e/o economiche dei paesi dell’area euro, qualsiasi sia il governo in carica nulla potrà fermare una serie di atti già definiti dall’Unione Europea e dalla Banca Centrale Europea e che si attiveranno proprio “in automatico”. Ovviamente Draghi si riferiva in particolar modo al Fiscal Compact, quella serie di atti obbligatori a cui tutti i Paesi dell’Eurozona devono per forza attenersi e che al nostro Paese costeranno, euro più euro meno, ogni anno un’uscita certa e fissa di circa 50 miliardi di euro, a cui andranno, di volta in volta, aggiunti quelli che saranno previsti nelle varie manovre finanziarie.



“Spezzeremo la schiena all’inflazione”, Christine Lagarde


La comunicazione è stata troppo esplicita sul fatto che il rischio di interrompere prematuramente i rialzi dei tassi è molto più alto di quello di andare troppo oltre. Durante la conferenza stampa, Lagarde ha sottolineato l'indebolimento delle prospettive economiche dell'eurozona nel breve periodo, ma è rimasta ottimista sulla ripresa della crescita nel medio termine. L'inflazione, secondo Lagarde, è destinata a scendere ulteriormente, ma rimarrà al di sopra dell'obiettivo per un lungo periodo di tempo. Non è chiaro se si tratti di questa valutazione macroeconomica o di qualcos'altro, ma la Lagarde ha dichiarato più volte che tutte le opzioni saranno sul tavolo per Settembre. Ritengo che la Bce non abbia ancora smesso di aumentare i tassi, ma che una pausa sia diventata di moda tra le banche centrali . In effetti, le proiezioni del consiglio sulla crescita e sull'inflazione, dovranno subire una significativa revisione al ribasso per impedire di aumentare i tassi almeno un'altra volta dopo l’ultima riunione.



Troppo veloce per non fare danni: il rialzo dei tassi della Bce | Vincent Flasseur


L’Italia è un termometro a volte sottovalutato dell’Europa. Qualora la recessione fosse davvero alle porte nel bel Paese, la Banca Centrale Europea dovrebbe preoccuparsi seriamente di un rischio credit crunch. Una stretta del credito appunto, è un'improvvisa riduzione della disponibilità generale di prestiti o un improvviso stringimento delle condizioni richieste per ottenere un credito dalle banche. Questo comporta generalmente una riduzione delle disponibilità liquide, indipendente da un aumento dei tassi di interesse ufficiali. In tali situazioni, il rapporto tra disponibilità di credito e tassi di interesse cambia. Il credito diventa meno disponibile a un dato tasso di interesse ufficiale, oppure cessa di esistere una chiara relazione tra i tassi di interesse e la disponibilità del credito (vale a dire, si verifica un razionamento del credito). Molte volte, una stretta creditizia è accompagnata da una fuga verso la qualità (risk off) da parte di finanziatori e investitori, poiché cercano investimenti meno rischiosi (spesso a spese delle piccole e medie imprese). Ricordo come se fosse ieri le parole dei banchieri centrali compresa Lagarde, dove gettavano acqua sul fuoco a chi preoccupato parlava di inflazione, crisi del credito e condizioni di crescita. Sotto-pesare i rischi e sovra-stimare i rendimenti è un cul-de-sac che non possiamo permetterci.

Al prossimo articolo!

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