MT54: La banda Bassotti

 

Traders e investitori spendono molto tempo e sforzi nel cercare di capire la traiettoria della futura crescita economica, il percorso dei prezzi, i rapporti di rischio e il valore intrinseco degli asset, alla ricerca di opportunità per comprare quello che il mercato sottovaluta e vendere quello che sopravvaluta. Per fare questo, spesso si ricorre alla macro-economia, all’osservazione dei grafici, all’utilizzo di analisi tecnica o quella statistica (che può essere considerata quasi una scienza): ognuno crede e spera di ricavarne da esso una conclusione a cui deve necessariamente seguire il click a mercato. Tralasciando il fatto su cosa sia meglio (ho la mia opinione in merito ma non sono in cerca di nemici), voglio soffermarmi sull’analisi fondamentale e su come essa lavora nel contesto attuale totalmente distaccato e de-correlato nel rapporto economia-reale/mercati-finanziari.

L’indicatore che meglio fotografa la situazione attuale e quella prospettica della crescita economica è senza dubbio il PIL, che è l'importo totale della spesa nell'economia reale. Ciò include tutti i tipi di attività di consumo e investimento, che si traducono in attività di reddito e risparmio. Tuttavia, questa misura esclude le attività finanziarie. Se ad esempio prendessimo in analisi una famiglia media ne ricaveremo che:

  • le famiglie generano reddito dall'occupazione e dalla produzione, che poi spendono in consumi e investimenti (spesa);
  • quando il loro reddito è maggiore della spesa (compresi gli investimenti), hanno dei risparmi;
  • i risparmi da reddito possono essere utilizzati per l'acquisto di attività finanziarie, titoli di stato o azioni;
  • maggiore è il risparmio, maggiore è il potenziale di spesa in diversi tipi di attività finanziarie.




PIL dell'area euro +0,1% nel 4° trimestre 22, +1,9% rispetto al 4° trimestre 2021 | Eurostat


È importante riconoscere che questi picchi si verificano tipicamente durante i periodi di accelerazione dei redditi, vale a dire quando il PIL sale. Tuttavia, questi risparmi, che provengono dall'economia reale, non sono l'unica fonte di potenziale domanda di attività, ma possono anche essere aumentati con l'indebitamento, vale a dire la leva finanziaria. Gli aumenti della leva finanziaria sono in parte guidati dalle condizioni attuali e in parte dalle aspettative di condizioni future. Nella scelta della leva, le istituzioni prendono in considerazione la loro capacità di finanziare percependo un interesse, durante i periodi di accelerazione economica — cioè accelerazioni del PIL — questa capacità aumenta in modo significativo (ne parlerò dopo in maniera approfondita su come le banche intascano quattrini quando i tassi d’interesse salgono). Una crescita costante e duratura nel tempo del PIL crea un circolo virtuoso.

Pertanto, una parte significativa della leva finanziaria deriva dalle condizioni del PIL in corso. Combinando questi due driver, vale a dire il risparmio e la leva finanziaria, otteniamo le potenziali fonti totali di domanda di asset, che è il vero Sacro Graal per chi osserva i dati macro (non io, che mi limito ad una lettura superficiale per capire quali saranno i market mover e quali saranno i potenziali momenti di volatilità). E’ utile considerare che dal Quantitative Easing in poi, sia in Europa che negli Stati Uniti l’utilizzo della leva finanziaria è stato fatto in maniera scellerata da parte di banche e istituzioni, agevolata dalla spirale del denaro facile: come dico sempre quando si valutano gli acquisti di asset “c’è un prezzo per tutto ma nessuno conosce il vero valore delle cose: pertanto non tutti i prezzi sono buoni da acquistare”.

La Banca d’Italia avvisa la banda Bassotti: non fatelo

Come si fa a produrre reddito e mantenere un PIL stabile mentre il costo del denaro aumenta? Il caso studio perfetto sono le banche d’affari. Approfondiamo.

Nelle ultime settimane la Banca d’Italia ha messo in risalto come le banche d’affari stiano approfittando dell’aumento dell’inflazione nell’aumentare i costi dei conti correnti a carico della clientela. In una nota, si invita gli istituti “a valutare con estrema attenzione simili modifiche contrattuali a sfavore dei clienti, considerato che l’aumento dei tassi d’interesse ufficiali avviato lo scorso Luglio dalla Banca Centrale Europea può avere effetti positivi sulla redditività complessiva dei rapporti tra le banche e i loro clienti, potenzialmente in grado di compensare l’aumento dei costi indotti dall’inflazione”. Il messaggio è chiaro: non fatelo perchè non serve ai vostri margini che rimarranno alti. Ma niente, le lettere di modifica unilaterale sono partite: vi invito a verificare nei vostri conti correnti i costi di tenuta e dei servizi collegati (bonifici, altre operazioni). Quasi tutti hanno già applicato i nuovi listini a ignari correntisti.



Nell’ultimo rapporto del 28 Febbraio, la qualità del credito è diminuita | Banca D’Italia


Nel nostro Paese intriso di populismo persino nel linguaggio, la Banca d’Italia di sicuro si distingue. Resta felpata, impeccabile. Mi permetto dunque di tradurre liberamente: con l’aumento dei tassi le banche stanno già facendo un sacco di soldi. Almeno non sovraccarichino i clienti alzando anche le commissioni sui loro conti. Già, ma quanti soldi stanno facendo le banche grazie all’aumento dei tassi della Bce? Negli ultimi tre mesi dell’anno scorso le prime otto banche hanno visto aumenti annui dei ricavi quasi tutte in doppia cifra, fino al 40% in più. Ma la domanda sulle origini della vasta redditività attuale dell’intera categoria rimane, specie dopo le crisi bancarie di meno di un decennio da. Da dove vengono tutti quei soldi che stanno guadagnando le banche?

Ecco come le banche d’affari stanno guadagnando una fortuna

Dall’estate scorsa ad oggi la banca centrale ha alzato il costo degli interessi che chiede alle banche commerciali per fornire loro liquidità (dallo zero al 3% all’anno), ma ha anche alzato il “tasso sui depositi” (sopra al 2,5%); in quest’ultimo caso, si tratta dei rendimenti che la stessa Bce garantisce ai fondi depositati dagli stessi istituti commerciali presso la banca centrale. Questi fondi depositati sui propri conti in Bce derivano, in buona parte, dai depositi liquidi che noi clienti affidiamo loro: lo facciamo con il semplice atto di lasciare i nostri soldi fermi sui conti in banca. E non stiamo parlando di noccioline. I depositi liquidi della clientela presso le banche italiane – tolti quelli delle banche stesse – valgono più del prodotto interno lordo: 2.134 miliardi di euro a Dicembre scorso (dei quali 1.260 miliardi delle famiglie e 423 delle imprese).

Dobbiamo sempre farci riconoscere. I dati rilevati nell’Eurozona dimostrano che in Italia gli aumenti dei tassi sui prestiti alla clientela sono stati finora fra i più alti dell’area euro. Il costo medio in interessi dei prestiti alle imprese è cresciuto del 2,5% e i tassi dei prestiti alle famiglie per comprare casa sono saliti fino al 3,50%. In sostanza, le banche hanno trasferito per intero sulle imprese tutti gli aumenti del costo del denaro da parte della Bce, mentre sulle famiglie hanno trasferito due terzi di quegli aumenti. C’è dunque da aspettarsi che quest’anno l’economia italiana non si metta a correre.



Crollo dei prestiti e dei mutui a causa dell’aumento del costo del denaro | Banca D’Italia


IN SINTESI — In questi ultimi sette mesi le banche italiane, in media, hanno fatto salire i tassi a loro favore 7 volte di più di quanto abbiano lasciato salire i tassi a loro carico. Di conseguenza i rendimenti che le banche riconoscono alla loro clientela sui depositi di quest’ultima sono cresciuti, in media, 14 volte meno dei rendimenti per la stessa liquidità che la Bce riconosce alle banche. Cioè, di fatto, il sistema creditizio non ha trasferito ai clienti gli aumenti dei tassi: lo ha tenuto quasi tutto per sé. Nel frattempo però ha trasferito sulla clientela quasi tutto l’aumento dei tassi Bce, quando è quest’ultima che deve pagare le banche su prestiti e mutui.

Ma ora ci interessa capire cos’è successo dall’altra parte, nei rendimenti dei depositi della clientela. In parallelo all’aumento dei tassi sui depositi della Bce a favore delle banche, sono saliti anche gli interessi che le banche stesse riconoscono ai risparmiatori? Sì, sono saliti. Il problema è di quanto: sono passati in media dallo 0,30% di maggio scorso (prima degli aumenti dei tassi) allo 0,50% di Gennaio. In altri termini, mentre quanto la Bce pagava a favore delle banche saliva del 2,5% all’anno, quanto le banche pagano alla clientela per i loro depositi è salito di appena lo 0,18%. E’ come quando andate al distributore di carburante e qualche ora prima il TG aveva annunciato che il prezzo del petrolio era in caduta libera: arrivate lì, tirate su il freno e vi rendete conto che il prezzo è lo stesso di quello della settimana precedente. Vi guardate in giro con l’aria di chi pensa: “mi stanno fregando?” Risposta: SI.

Focus sul dati, mentre il PIL tedesco ci avverte della recessione

I dati restano fondamentali. Vengono seguiti con attenzione dalle banche centrali, che sono tornate ad adottare un approccio "riunione per riunione" (che nei precedenti episodi ho indicato come “abbandono della forward guidance”). Sono diventati uno dei principali fattori che determinano la direzione dei tassi, mentre i mercati cercano di valutare le azioni dei banchieri nei mesi a venire. A questo proposito, l'Europa ancora una volta, è pessima nella definizione di politiche a lungo termine ma brava nelle misure di emergenza. Utilizzare le finanze pubbliche per proteggere il settore privato da un problema strutturale non è una soluzione praticabile a lungo termine, ma funziona di sicuro nel breve periodo. L'euro più forte e il miglioramento del sentiment hanno sostenuto la ripresa degli asset di rischio europei, ma il fattore decisivo è stato l'intervento del governo che ha stroncato le vibrazioni recessive. L'estremo pessimismo nei confronti dell'industria manifatturiera era ora meno giustificato, poiché i costi dei fattori produttivi e dell'energia erano sovvenzionati dai governi, e quindi una recessione immediata degli utili doveva essere esclusa. Adesso che i costi sono rientrati non ci sono più scuse e i titoli europei hanno messo a segno un rally massiccio e hanno sovra-performato molti altri titoli globali.



A febbraio l'inflazione è scesa dall'8,6 all'8,5%, mentre l'inflazione core è salita al 5,6%: l’aumento dei tassi può continuare | Trading Economics


Nel complesso, l'impatto della stretta monetaria è stato finora costante ed è destinato a continuare da qui in avanti. Nei prossimi mesi ci sarà un ulteriore inasprimento nel settore del credito e un indebolimento della domanda di prestiti in futuro. Inoltre, la Bce inizierà il Quantitative Tightening proprio questo mese, che avrà un ulteriore effetto frenante sull'offerta di moneta. Con altri rialzi dei tassi di interesse in arrivo, ci si aspetta che l'impatto delle misure di restrizione sull'attività economica si faccia sentire maggiormente con l'avanzare del 2023. Ed ecco puntuale la terza stima della crescita del PIL tedesco nell'ultimo trimestre del 2022 dimostra che i festeggiamenti per la ripresa erano un po' prematuri e si profila una recessione tecnica. Nel quarto trimestre del 2022 l'economia tedesca ha subito una contrazione dello 0,4% su base trimestrale, dal +0,5% del terzo trimestre. Si tratta della prima contrazione dal primo trimestre del 2021. Su base annua, la crescita del PIL è stata dello 0,9%.



Ogni giorno all’apertura di Wall Street: vendita Usa, acquisti in Europa | The Market Ear


La contrazione economica non è una sorpresa. L'economia tedesca ha sorpreso mostrando una tenuta maggiore di quanto si temesse, nonostante abbia dovuto affrontare una lunga serie di crisi. Tuttavia, se da un lato questa capacità di ripresa, guidata dal sostegno fiscale e dal clima invernale mite, ha impedito all'economia di cadere in una profonda recessione, dall'altro non è certo garanzia di una forte ripresa a breve. Infatti, anche se gli indicatori del sentiment sono aumentati negli ultimi mesi, ci sono prove schiaccianti di un'economia ancora debole. Il secondo calo consecutivo della componente di valutazione corrente dell'Ifo, il calo del PMI manifatturiero e, come si evince dai dati, la debolezza della fiducia dei consumatori e la disponibilità a spendere vicina ai minimi storici, confermano che l'economia tedesca si contrarrà ancora.

Guardando al di là del primo trimestre, le economie dell'Eurozona sono nel bel mezzo di una transizione strutturale, come testimonia lo shift tra i mercati Usa e quelli Europei (grafico sopra). Se ho ragione, l'eventuale ripresa di quest'anno sarà più morbida e di breve durata di quanto molti si aspettino, e la crescita contenuta piuttosto che una forte ripresa rimane lo scenario di base.

Calendario economico della settimana

Settimana molto intensa quella appena cominciata. Il valzer dei banchieri centrali è iniziato la scorsa ottava con Bostich: continueranno Powell e Lagarde che si alterneranno Martedì, Mercoledì ed infine Venerdì quando i dati sul mercato del lavoro arriveranno sul tavolo. Nel mezzo tanto rumore per i preparativi al prossimo meeting di fine mese con Federal Reserve e Banca Centrale Europea.



In conclusione, i futures sui Fed fund continuano a cambiare e ora dopo ora prezzano nuovi scenari che i mercati con ottimismo volevano evitare di guardare. Gli indici azionari non sembrano essere condizionati dalle prospettive di una politica più restrittiva ma non sono in sintonia con i segnali dei mercati dei tassi. A tal proposito gli investitori sembrano essere giunti alla conclusione che l'inflazione, da sola, non è una nemica dell'azionario. Va a gonfiare i fatturati e i margini, che non hanno fatto che salire per tutto il 2022. Per cui sono più riluttanti a vendere per dati inflattivi forti: si sono stufati di farlo, per poi trovare gli indici più alti successivamente. Le aspettative del 2023 erano deboli ma stabili. Ancora più chiaro è che dopo un trimestre così sulle nuvole è ancora più lecito attendersi un ritorno alla realtà: vedremo se le prossime settimane e la chiusura del Q1 andranno in questa direzione.


Al prossimo articolo!

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