MT19: La grande scommessa

 


"Ho conosciuto mia moglie su Match.com. Il mio profilo diceva: Sono uno studente di medicina con un occhio solo, bizzarri comportamenti sociali eccetto 45 mila dollari di prestito studentesco. E lei mi rispose: "Sei proprio quello che stavo cercando". Intendeva che ero onesto. Perciò lasciate che sia onesto. Fare i soldi non è come credevo che fosse, questo business uccide quella parte di vita che è essenziale, la parte che non ha niente a che vedere con gli affari. Negli ultimi 2 anni ho sentito come se i miei organi interni si auto fagocitassero. Tutte le persone che rispettavo non mi rivolgeranno più la parola, se non tramite gli avvocati. La gente, vuole che un'autorità dica loro come valutare le cose ma scegliere quest'autorità non basandosi sui fatti o sui risultati, la scegli perchè sembra autorevole e, familiare; io non sono e non sono mai sembrato familiare, perciò sono arrivato alla dolorosa conclusione di dover chiudere il fondo. Cordiali saluti”

Michael J. Burry


Uno dei migliori film sulla finanza degli ultimi anni a mio parere è senza alcun dubbio “The Big Short, La Grande Scommessa”. Tratto dall’omonimo libro di Michael Lewis, il film del 2015 è incentrato sulle vicende di Michael Burry un controverso economista e gestore di un hedge fund, interpretato da Christian Bale. Michael e un gruppo di investitori a lui vicino, intuiscono cosa sarebbe successo di lì a poco sui mercati finanziari con la cosiddetta bolla dei mutui sub-prime tra il 2007 e il 2008 che innescò la più grande crisi finanziaria degli ultimi 40 anni.



Michael J. Burry durante una scena del film interpretato da Christian Bale

(fonte Paramount Pictures) 

Nel 2005 l'eccentrico manager scopre che il mercato immobiliare statunitense è estremamente instabile, essendo basato su mutui subprime ad alto rischio. Giungendo alla conclusione che il mercato crollerà e identificando il probabile punto di inizio della crisi nel secondo trimestre del 2007, si rende conto che si possono trarre profitti da questa situazione con la creazione di un mercato di credit default swap, che gli permette di scommettere contro il mercato immobiliare; egli visita numerose istituti finanziari con questa idea, e le banche deridendolo, nella convinzione che il mercato immobiliare non possa MAI crollare, accettano la sua “folle” proposta.

Questo comportamento, al tempo illogico e apparentemente privo di buon senso, attira le ire degli investitori di Burry, che credono che egli stia sprecando il loro denaro, e gli chiedono di sospendere la sua attività, ma lui rifiuta. Man mano che il momento del collasso si avvicina, i suoi investitori perdono la loro fiducia nel fondo d'investimento di Burry e considerano la possibilità di ritirare i propri soldi investiti, ma Burry impone una moratoria per i ritiri, provocando una grande rabbia tra i suoi clienti. Alla fine il mercato crolla come previsto ed egli consegue un profitto del 489% con un utile complessivo di oltre 2,69 miliardi di dollari: la lettera che ho postato all’inizio è stata inviata a tutti i suoi clienti subito dopo il fallimento di Lehman Brothers.

Vi consiglio di seguirlo su Twitter da questo link @michaeljburry

“The Bullwhip Effect”, l’effetto frusta

Ricollegandoci ai giorni nostri, il buon vecchio Burry ha iniziato a parlare dell’effetto Bullwhip. Viene spesso attaccato e criticato dai millantatori del buy on dip e da quelli che urlano ogni giorno sui social media “markets only go up”. Scommettere contro il mercato è una scelta impopolare e oltre Oceano ha tanti nemici a cui far fronte. Ma cos’è il Bullwhip o effetto frusta?

L’economia di mercato moderna è un sistema complesso in cui minime variazioni registrate in un punto della catena di fornitura possono ripercuotersi su tutti gli operatori. Al centro di questo sistema si trovano la domanda e l’offerta. Queste due grandezze sono strettamente correlate tra loro e non solo sono decisive in maniera determinante per il successo o l’insuccesso economico di un’impresa, ma costituiscono anche il fondamento per tutte le decisioni strategiche della stessa. Eppure, per una valutazione della domanda occorre consultare dati provenienti da diversi settori per poter tracciare una previsione affidabile sulla situazione e sull’andamento del mercato. Infatti, tanto più un’azienda si allontana dal consumatore nella catena di fornitura (supply chain), tanto meno la domanda diretta riflette la situazione di mercato reale. Questa dinamica è nota come bullwhip effect, anche denominato effetto frusta.



L’effetto frusta nei vari processi dalla produzione al consumatore (fonte LeanDNA)

La stessa denominazione effetto bullwhip (=effetto frusta) suggerisce l’andamento della curva della domanda lungo la catena di fornitura. Come per una frusta, basta infatti un piccolo movimento (variazione) all’origine per provocare un effetto amplificato all’altra estremità. L’estremità della frusta è rappresentata in dai fornitori di materie prime; il movimento all’inizio viene generato dai consumatori.

Il fenomeno diventa più evidente se spieghiamo il bullwhip effect riportando un esempio in maggior dettaglio. Ipotizziamo che la domanda di un determinato prodotto aumenti perché i clienti finali acquistano il prodotto in quantità massicce o piazzano ordini più consistenti. Ciò può avere diverse cause sulle quali non ci soffermeremo in questa sede. In risposta alla maggiore domanda, il rivenditore al dettaglio ordina a sua volta un quantitativo maggiore presso il rivenditore all’ingrosso per riuscire a soddisfare le esigenze della clientela e, all’occorrenza, avere una scorta del prodotto. Ne consegue che anche il rivenditore all’ingrosso vuole ingrandire il suo stock e pertanto aumenta il quantitativo ordinato all’azienda produttrice. Questa necessita di maggiori materie prime del suo indotto per soddisfare il volume di ordini crescente.


In Breve

L'effetto bullwhip si verifica quando un calo della domanda da parte dei clienti induce i rivenditori a ridurre le scorte. A loro volta, i grossisti rispondono alla mancanza di ordini al dettaglio riducendo le scorte. Ciò induce i produttori a rallentare la produzione. Alla fine si verifica l'inverso. Quando la domanda dei clienti ritorna, i dettaglianti ordinano rapidamente più prodotti, spesso in quantità eccessiva, e i grossisti e le fabbriche si trovano a corto di scorte. Si verificano carenze, i prezzi aumentano. Alla fine la produzione aumenta a livelli ben superiori a quelli di equilibrio e questo si ripercuote a cascata sulla catena. Queste violente oscillazioni nella disponibilità di beni continuano ad andare avanti e indietro fino a quando non si raggiunge un equilibrio.


Di solito, i quantitativi d’ordine aumentano in ogni punto della catena di fornitura, perché la cerchia corrispondente di clienti si allarga e si generano dei ritardi causati dal trasporto e dalla produzione, che devono essere pianificati e inseriti nel ciclo aziendale. Quanto più ci si allontana dal consumatore, tanto più importante diventa tenere a magazzino i prodotti desiderati o le materie prime necessarie per poter reagire il più rapidamente possibile alle richieste della clientela e non perdere clienti, che si rivolgono alla concorrenza. Alla luce di questa dinamica, anche una minima variazione della domanda nel commercio al dettaglio viene percepita molto chiaramente a livello di indotto.

Questo esempio riflette l’intera catena di fornitura, dal fornitore di materie prime al consumatore. Eppure, l’effetto frusta non deve necessariamente partire dal consumatore: ma può avere origine anche in un altro punto della catena.

Non è la prima volta negli ultimi mesi che Michael Burry solleva preoccupazioni sull'economia. A maggio ha twittato che le attuali condizioni di mercato sono "come guardare un aereo che precipita". In questo post, parla di sovrabbondanza di offerta al dettaglio come effetto Bullwhip. Quando il famigerato effetto frusta colpisce e ciò che prima era una scarsità di scorte diventa un eccesso, con un rapporto scorte/vendite che esplode (e in alcuni casi raggiunge i massimi di due decenni), assicurando la liquidazione delle scorte in tutto il settore del commercio al dettaglio, con conseguente "tsunami deflazionistico" e "caduta dei prezzi", che costringerà la Fed a rivedere i suoi piani di rialzo e persino a riavviare l'allentamento Quantitative Tightening.

Naturalmente, non tutto è destinato a un crollo deflazionistico: non aspettatevi che gli articoli di lusso subiscano riduzioni di prezzo e, semmai, i prezzi di oggetti di lusso come borse e scarpe sono destinati a continuare a salire.


Conservate i vostri resi: i negozi pagano per non restituire gli articoli non desiderati

Il caotico mix di prezzi record del carburante e una crisi incessante della catena di approvvigionamento ha spinto i rivenditori a considerare l'impensabile: invece di restituire gli articoli indesiderati, tenerli.

Nelle ultime settimane, alcune delle più grandi catene di negozi, tra cui Target (TGT), Walmart (WMT), Gap (GPS), American Eagle Outfitters (AEO) e altri, hanno riferito nei loro ultimi report, di avere troppe scorte di articoli che vanno dall'abbigliamento per l'allenamento, alle giacche e felpe con cappuccio per la primavera, ai mobili da giardino e ai giocattoli ingombranti per bambini. Immagazzinarli costa loro tonnellate di denaro. A questa massa si aggiunge un'altra categoria di prodotti con cui i negozi devono fare i conti: i resi. Invece di accumulare la merce restituita su questo cumulo crescente di scorte, i negozi stanno pensando di restituire ai clienti i loro soldi e lasciare che si tengano la roba che non vogliono.


"I rivenditori sono bloccati da un eccesso di scorte senza precedenti. Non possono permettersi di ritirarne ancora di più"


Comprare ciò che serve, niente di più: "Per ogni dollaro di vendite, il profitto netto di un rivenditore va da un centesimo a cinque centesimi. Con i resi, per ogni dollaro di merce restituita, la gestione costa dai 15 ai 30 centesimi".

I clienti delle varie aziende sopra menzionate stanno valutando la possibilità di offrire l'opzione "tienilo" per i resi quest'anno, anche se non ha voluto rivelare se qualcuno dei suoi clienti ha già implementato la politica dei resi "tienilo". In alcuni casi, quando stabiliscono che sarebbe più facile, alcuni rivenditori consigliano ai clienti di tenere o donare il loro reso dopo aver emesso un rimborso. In giro molti negozi stanno già effettuando sconti per eliminare i prodotti, ma quando ci sono forti sconti, il rimorso dell'acquirente aumenta. Le persone sono tentate di comprare molto per poi restituire i prodotti. Vi ricordate chi ha iniziato questa politica?



Il grafico giornaliero del titolo Amazon in sofferenza dai massimi del 2021 (fonte Dax Trading Ideas) 

Rimborsare i clienti e allo stesso tempo permettere loro di tenere i loro resi non è una pratica nuova. È iniziata con Amazon diversi anni fa.

Mister Jeff Bezos con Amazon ha dato ai clienti la possibilità di usufruire della funzione “restituiscilo” addirittura dopo aver utilizzato il prodotto. Questo ha comportato un aumento di costi all’interno della catena produttiva. La politica di Amazon prima riservata ai clienti Prime e poi estesa a tutti i clienti iscritti ha amplificato il Bullwhip effect e adesso i magazzini in tutto il mondo sono pieni di merce utilizzata che devono rivendere all’interno del cosidetto Warehouse a prezzi scontati. Risultato? Accelerazione del vortice inflattivo.

A dire il vero, non tutti i prodotti subiranno una riduzione dei prezzi: le materie prime, il cui effetto bullwhip richiede molto più tempo per manifestarsi, durando di solito diversi anni in entrambe le direzioni, stanno appena iniziando a vedere il loro ciclo di prezzi più alti. Tuttavia, altri prodotti — come quelli commercializzati dai Walmart e dai Target di tutto il mondo, come ho spiegato sopra — stanno per subire un crollo deflazionistico come non se ne vedevano dai tempi della crisi finanziaria globale, quando i rivenditori inizieranno un'ondata di de-stoccaggio volontario come non se ne vedevano da oltre un decennio.


Perché l’effetto frusta è problematico per le aziende

Esattamente un anno fa Luke Templeman, stratega della Deutsche Bank, affermava che, nel panico dei grossisti statunitensi che si affannavano a rifornirsi di scorte scarse a causa dell'intasamento delle catene di approvvigionamento, era solo una questione di tempo prima che l'economia americana venisse scossa dall’effetto frusta.

La problematica del bullwhip effect per le aziende è catalogabile come evento imprevedibile perchè non possono controllare tutta la catena di fornitura. In pratica ciò implica che ad esempio l’azienda produttrice non sappia per quale motivo il rivenditore al dettaglio aumenta i propri volumi d’ordine. A tal proposito è senz’altro importante sapere se ci si trova di fronte a un ordine cumulativo strategico o a un effettivo incremento della domanda. Infatti, mentre nel primo caso non sono attesi ordini successivi nel breve periodo, nel secondo caso vale senz’altro la pena aumentare le cifre della produzione per conseguire un fatturato più elevato.

Se, tuttavia, un’azienda modifica la propria strategia solo sulla base di un sospetto, perché appunto ipotizza uno smercio di maggiori quantitativi, senza però esserne sicura, si corre il rischio di una sovrapproduzione. Ciò comporta non solo uno squilibrio tra investimenti e guadagno, ma anche maggiori costi di magazzino e target utopistici, che rischiano, nella peggiore delle ipotesi, di far andare in rosso l’azienda.

Si può evitare il bullwhip effect?

Come si è visto, il bullwhip effect non rappresenta in sé un grosso problema finché tutte le aziende sono consapevoli di questa dinamica e la comunicazione funziona all’interno della catena di fornitura, il che rientra tra i compiti del supply chain management e della gestione del rischio, due funzioni irrinunciabili nelle aziende di vaste proporzioni. Esse offrono non solo i modelli e i metodi necessari per calcolare il bullwhip effect ma consentono anche l’individuazione di possibili fattori di rischio e delle strategie necessarie per evitarli.

Per quanto riguarda il bullwhip effect all’interno della supply chain, esso può essere spesso contrastato o evitato grazie a una chiara comunicazione e trasmissione di informazioni tra tutte le stazioni della catena di fornitura. Quest’obiettivo può essere raggiunto in modi diversi:

  • facendo sì che i rivenditori al dettaglio trasmettano le loro cifre di vendita direttamente ai rivenditori all’ingrosso e alle aziende produttrici in maniera tale che essi possano confrontare i dati degli ordini con le vendite effettive;
  • grazie all’impiego di software su cloud per la gestione del magazzino, che segnali direttamente a rivenditori, aziende produttrici e aziende dell’indotto quando vi è necessità di integrare le scorte;
  • mediante una pianificazione tempestiva e la discussione di campagne promozionali di sconto con tutti gli operatori della filiera;
  • mediante la pattuizione di consegne regolari di quantitativi costanti, ma con una composizione delle merci variabile e adeguata al fabbisogno.

Per la pianificazione strategica di un’azienda è quindi importante non solo tenere sotto controllo le proprie cifre di acquisto e vendita, ma anche quelle dell’indotto e degli acquirenti. Solo in questo modo è possibile effettuare una stima realistica dei fatturati attesi e degli sviluppi del mercato e contenere il rischio imprenditoriale.



Strategie per minimizzare l’effetto frusta (fonte Semantic Scholar) 

In conclusione: se un anno fa abbiamo assistito all'inizio iperinflazionistico dell'effetto bullwhip, siamo entrati nella fase terminale dell'"effetto bullwhip", in cui i rapporti crollo delle scorte/vendite si invertono violentemente, in cui le catene di approvvigionamento si sbloccano improvvisamente e rapidamente in mezzo a un improvviso raffreddamento dell'economia, e in cui i prezzi dei cosiddetti beni "core" crollano quasi da un giorno all'altro, anche se i prezzi non core (cibo ed energia) esplodono ancora di più. L'effetto bullwhip finisce con un botto: i prezzi stanno per cadere da una rupe con uno tsunami deflazionistico in arrivo: un'onda anomala di sconti e prezzi in calo è in arrivo!

Calendario economico della settimana

La settimana inizia in leggerezza con Wall Street chiusa per il giorno dell’Indipendenza del 4 Luglio. Il giorno successivo primi dati “pesanti” in arrivo dal Regno Unito con PMI, Indice dei direttori degli acquisti e la comunicazione di Bailey, governatore della banca d’Inghilterra.

Mercoledì giornata molto importante per il dato ISM non manifatturiero, molto importante per noi (ne abbiamo parlato in maniera approfondita in questo articolo). Giovedì la BCE pubblicherà le minute della politica monetaria, dove forse avremo anche qualche aggiornamento sul piano anti-frammentazione che è stato ampiamente documentato nelle settimane precedenti, nulla di eccezionale, almeno all’apparenza. Seguiranno ADP, sussidi di disoccupazione e le scorte di petrolio, che ultimamente sono da tener sotto la lente di ingrandimento.

Venerdì 8 Luglio ecco il discorso di Lagarde che forse vorrà aggiungere qualcosa in merito all’ultimo meeting e per finire il dato Non Farm Pay Rolls (NFP) vero market mover di alcuni anni fa, mentre adesso il focus è totalmente sull’inflazione e sulle scelte di politica monetaria delle banche centrali per contenerla, riportando la percentuale in traiettoria.



Inflazione che pesa tanto soprattutto in Italia dove la base media delle retribuzioni è più bassa rispetto agli altri partner Europei. Se consideriamo che 7 anni fa i cittadini italiani che hanno sottoscritto le obbligazioni statali adesso ci stanno rimettendo poco sotto il 10%, questo equivale ad una patrimoniale applicata ai conti correnti. E’ stato calcolato che l’inflazione genererà un surplus flusso di cassa di oltre 30 miliardi, il valore di una finanziaria.

In conclusione, nella zona euro, la scorsa settimana il Presidente della BCE Christine Lagarde è stata avvertita da diversi legislatori che potrebbe innescare una recessione e che è "in ritardo rispetto ai mercati". E mentre è probabile che l'inflazione rimanga ultra-alta, l'implicazione per l'inflazione più ampia è chiara: la maggior parte dei prezzi che compongono il paniere dell'IPC core sta per crollare nel giro di settimane, il che significa che l'unica cosa che rimarrà calda è l'inflazione headline, cioè i prezzi di cibo ed energia, gli stessi prezzi che la Federal Reserve e la Banca Centrale Europea ha tradizionalmente ignorato.


Incrociamo le dita, al prossimo articolo!



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