MT9: Le Pen is on the table

 

Emmanuel Macron è di nuovo Primo Ministro francese per i prossimi 5 anni. Con il 58.5% di preferenze nel ballottaggio di Domenica 24 Aprile ha ottenuto la maggioranza dei voti necessaria per essere riconfermato all’Eliseo. Battuta l’agguerrita concorrenza di madame Le Pen che conquista il 41.5%




Le prime proiezioni degli exit-poll, poi confermate l’indomani


“Tutto cambia perchè nulla cambi.” — Nel "Gattopardo" di Tomasi di Lampedusa del 1958, c'è ancora una verità italiana, ossia: se tutto cambia esteriormente, tutto rimane com'è; se tutto rimane com'è, tutto può cambiare interiormente.

Parlando ai sostenitori di fronte alla Torre Eiffel a Parigi, Macron ha riconosciuto che avrebbe dovuto presiedere una nazione divisa nel suo secondo mandato dopo che molti hanno sostenuto il suo rivale o non hanno votato. "Il nostro paese è assediato da dubbi e divisioni", ha detto. "Il voto di oggi ci impone di considerare tutte le difficoltà della vita delle persone e di rispondere efficacemente ad esse e alla rabbia espressa". La vittoria di Macron, eletto per la prima volta nel 2017, arriva come un sollievo per gli investitori e per gli alleati della Francia nell'UE e nella NATO nel mezzo dell'invasione russa dell'Ucraina. Una vittoria dell'euroscettica Le Pen, che voleva tirare fuori la Francia dalla struttura di comando militare della Nato, sarebbe stato un terremoto geopolitico simile alla Brexit o all'elezione di Donald Trump. Tuttavia, il partito di estrema destra della Le Pen ha avuto il suo miglior risultato dalla seconda guerra mondiale e il 28% degli elettori non si è presentato - il più alto livello di astensione dal 1969. Più della metà degli elettori nel primo turno di due settimane fa ha votato per i candidati nazionalisti ed euroscettici di estrema destra o sinistra.



Risultati presidenziali francesi (fonte: Ministero dell’interno)



Il tripudio della destra conservatrice in Francia è un canovaccio che va avanti da un po’ di anni. Questa tornata elettorale metteva di nuovo a confronto il Repubblicano Macron con la Nazionalista Le Pen che ha mostrato però un volto nuovo, meno intransigente. L’impostazione della stampa cosiddetta libera ha soffiato sul vento di Macron, seppur condividendo poco o nulla della gestione dei suoi 5 anni. Innumerevoli le disavventure dell’Emmanuel nazionale che ha dovuto lottare non poco con beghe interne provocate da un malcontento popolare e innumerevoli manifestazioni di dissenso (quella più famosa dei mouvement des gilets jaunes, i gilet gialli).

Il movimento dei gilet gialli è un movimento spontaneo di protesta nato sui social network nel novembre del 2018 che ha provocato scontri in Francia e con diverse manifestazioni pacifiche in altre nazioni. Il movimento era nato dalla protesta contro l’aumento dei prezzi del carburante e l'elevato costo della vita, e sostiene che un onere sproporzionato delle riforme fiscali dei governi sta cadendo sulle classi lavoratrici e medie, specialmente nelle aree rurali e suburbane. I manifestanti chiedono la diminuzione delle tasse sul carburante, la reintroduzione della tassa di solidarietà sulla ricchezza, un aumento dei salari minimi, e l'attuazione dei referendum d'iniziativa dei cittadini.


In effetti il vero vincitore di questo giro è stato l’astensionismo e la totale sfiducia di questa classe politica che da nord a sud, da est a ovest mette in crisi le democrazie e la pochezza di questi rappresentanti incollati alle loro poltrone e intenti a mantenere saldo lo status-quo. Le sfide all’orizzonte del rieletto presidente saranno ardue e complesse. Macron dovrà fare quello che non ha fatto negli ultimi 5 anni: parlare alla pancia dei francesi scendendo dal trono del suo palazzo dorato, sporcarsi le mani quartiere per quartiere e ridare alla politica la credibilità perduta con un interventismo pratico, non asettico e fine a se stesso. Queste elezioni sono molto importanti per tutta l’Europa perchè sono un monito da leggere con attenzione, visto che parliamo della seconda potenza Europea. Le Pen è fuori dal gioco ma ancora sul tavolo.

Stesso contesto, epilogo diverso

Le elezioni francesi contestualizzate in Europa al centro di un conflitto mondiale (non utilizziamo l’ipocrisia russa che chiama questa guerra come “operazione speciale”) hanno colpito direttamente anche i mercati finanziari. Durante le ultime elezioni francesi, nel momento in cui fu scongiurata l’avanzata dell’ultra-destra nazionalista, gli indici europei e l’Euro presero slancio che diede nuova linfa e fiducia ad interi comparti. I mercati finanziari spesso basano i loro rialzi prezzando prospettive migliori e crescite esponenziali. Questa volta sembra diverso. I punti di domanda sono molteplici e, mentre gli Stati Uniti sembrano aver aperto ad una strada interventista e aggressiva con la Federal Reserve sugli scudi, in Europa il clima bellico e l’immobilismo della BCE sembrano un aspetto che gli investitori valutano da alcuni mesi in modo estremamente negativo. La stessa sfiducia che i francesi ripongono nei loro politici la ritroviamo ancora una volta sui mercati finanziari, dove masse di denaro vengono spostate a fatica, segno che il quadro recessivo che ci circonda ha spento le velleità di un futuro roseo, almeno per il momento.

Nel 2017 all’indomani delle presidenziali francesi, la moneta del vecchio continente prese la spinta decisiva che definì uno scenario cruciale nel mercato delle valute: il cosidetto “Gap Macron”. L’evento è rappresentato dallo strappo ben visibile sul grafico dove l’Euro contro il Dollaro americano ruppe la resistenza di 1,07. Dopo mesi di debolezza e di serie considerazioni se la moneta unica fosse la scelta migliore per l’Europa intera, le elezioni furono il catalizzatore della fiducia e dell’Unione rappresentata dal libero scambio, dalla forza della democrazia e dallo spegnimento di venti populisti. Dal 2017 facciamo un triplo salto carpiato ed atterriamo direttamente al 2020. Le domande che gli investitori si posero durante questo triennio furono molteplici ma la più ricorrente riguardava la chiusura del Gap Macron e di quando sarebbe avvenuto. Nell’anniversario del terzo anno dall’elezione del presidente, tra Aprile e Maggio ecco il tocco tanto atteso dagli operatori e nuovo impulso in piena pandemia da Covid-19. Alla scadenza del mandato dei 5 anni siamo tornati di nuovo allo stesso punto di partenza: un triplo minimo molto tecnico per chi mastica l’analisi dei grafici e degli andamenti delle borse e delle valute.



Grafico dell’Euro/Dollaro dal 2017 ad oggi


Non sappiamo cosa ci riserverà il futuro e se il presidente francese riuscirà a dare nuova linfa alla valuta, ma quello che è certo è che i cicli del tempo si ripetono costantemente sui mercati. Cambiano le variabili, cambiano i contesti, ma spesso la storia fa rima.

Beni discrezionali, inflazione e dintorni

Le chiusure in Asia e le restrizioni sull'offerta di energia abbinate a un ambiente fiscale e monetario sempre stimolante sono solo un cocktail letale per l’economia. I prezzi dell'energia rimangono un ostacolo alla crescita quest'anno e le decisioni politiche si muovono ancora verso la limitazione dell'offerta per ragioni geopolitiche che mi trovano pienamente allineato. Le conseguenze sono ovvie e numerose: gli impianti tedeschi (che sono tra i più grandi in Europa) sono vuoti. Non c'è gas naturale nel deposito di Gazprom. Questa è l'impennata dei prezzi di Putin, come si è subito affrettata a bollarla gli Stati Uniti, ma la verità è che Putin è lontano dall'essere l’unico responsabile di tutta l'inflazione che stiamo subendo. Quando le necessità diventano più costose, significa semplicemente che la gente smetterà presto di comprare “cose discrezionali”.

Con l'espressione discrezionali si intende classificare quel settore che comprende la vendita di beni e servizi non essenziali. Le società comprese in questo settore sono: rivenditori al dettaglio, media, automobili e componenti, elettrodomestici ecc. ecc.



La guerra in Ucraina, combinata con le preoccupazioni sui tassi e l'aumento dell'inflazione, significa che il sentimento degli investitori continua ad allontanarsi dai titoli industriali e dai beni voluttuari. Energia e sanità sono stati i settori più favoriti ad aprile. (fonte S&P Global)


Questo significa anche che il prezzo di tutto ciò di cui avete bisogno rimarrà alto, ma il prezzo di tutto ciò di cui non avete bisogno inizierà presto a scendere.

Comprate le cose di prima necessità, vendete le cose di quello di cui non avete bisogno.

Mentre apprezzo come l'inflazione possa essere positiva per il PIL nominale e quindi per la crescita dei ricavi, penso che l'inflazione non sia più un positivo netto per la crescita degli utili, dato l'impatto sui costi che ora si stanno manifestando nei margini. In secondo luogo, la guerra in Ucraina ha portato a un'impennata dei costi energetici e alimentari che non servono altro che una tassa su un consumatore che sta già lottando con un'inflazione elevata. In altre parole, penso che gli effetti positivi dell'inflazione sulla crescita degli utili abbiano raggiunto il loro picco e siano ora più probabili come un vento contrario alla crescita, in particolare perché l'inflazione costringe la Fed a rimanere massimamente falco. A questo proposito, il significativo aumento dei tassi di ritorno sta avendo un impatto significativo sulle aree dell'economia e del mercato sensibili ai tassi d'interesse, come le abitazioni.

I nuovi modelli cambieranno gli obiettivi di inflazione?

Un elemento chiave di questi driver di politica monetaria e fiscale è l’inflation targeting ovvero l'obiettivo dell'inflazione. Negli ultimi anni, molte banche centrali, i responsabili della politica monetaria, hanno adottato una tecnica chiamata inflation targeting per controllare l'aumento generale del livello dei prezzi. In questo quadro, una banca centrale stima e rende pubblico un tasso d'inflazione previsto, o "obiettivo", e poi cerca di dirigere l'inflazione reale verso quell'obiettivo, usando strumenti come i cambiamenti dei tassi d'interesse. Poiché i tassi di interesse e i tassi di inflazione tendono a muoversi in direzioni opposte, le probabili azioni che una banca centrale intraprenderà per alzare o abbassare i tassi di interesse diventano più trasparenti in una politica di targeting dell'inflazione. I sostenitori dell'inflation targeting pensano che questo porti ad una maggiore stabilità economica.

L’inflation targeting è estremamente efficace in un contesto generale dove la politica monetaria fornisce un'ancora nominale all'economia. Un'ancora nominale è una variabile che i politici possono usare per vincolare il livello dei prezzi.

Come funziona l’inflation targeting?

L'inflation targeting è semplice: la banca centrale prevede il percorso futuro dell'inflazione e lo confronta con il tasso d'inflazione obiettivo (il tasso che il governo ritiene appropriato per l'economia). La differenza tra la previsione e l'obiettivo determina quanto la politica monetaria deve essere regolata. Alcuni paesi hanno scelto obiettivi di inflazione con intervalli simmetrici intorno a un punto medio, mentre altri hanno identificato solo un tasso obiettivo o un limite superiore all'inflazione. La maggior parte dei paesi ha fissato i propri obiettivi d'inflazione a una cifra bassa. Un grande vantaggio dell'inflation targeting è che combina elementi sia di "regole" che di "discrezione" nella politica monetaria. Questo quadro di "discrezione vincolata" combina due elementi distinti: un obiettivo numerico preciso per l'inflazione nel medio termine e una risposta agli shock economici nel breve termine.

Qual’è lo strumento per misurale la salute di un economia e prevederne i futuri andamenti?

Indubbiamente l’obbligazionario. Parto dalla premessa che tra i mercati che studio e che lavoro costantemente quello dell’obbligazionario è quello che capisco meno. E’ un mercato estremamente complesso che viene studiato e analizzato dagli economisti. Quelli che studiano macro-economia sono quelli che scrivono tanto sui mercati finanziari ma che non riescono a tirarne fuori uno straccio di guadagno. Il motivo è semplice: i libri di teoria che insegnano nelle scuole professionali vale poco o nulla rispetto alla realtà cruda sul ring dei mercati finanziari. In questo settore i titoli conseguiti nei master non sono assolutamente sinonimo di risultati e profittabilità nè come trader nè come investitore. Il mercato dei bonds esprime tutte le sue complessità nella costruzione dello scenario: le politiche monetarie espresse dalle banche centrali spesso coincidono con trend secolari contrari ai rendimenti dei titoli di stato. 

1+1 sul mercato dei bonds spesso non fa 2.



Treasury Bond Stati Uniti a 10 anni: ribasso del rendimento dal 2018 al 2020. Dal minimo di marzo durante la pandemia è iniziato un rialzo che sta lavorando in maniera estremamente tecnica fino alla soglia del +3%


Solitamente i mercati azionari viaggiano in correlazione inversa agli obbligazionari. Proviamo a rendere il discorso semplice e meno complesso di quello che è:

  • Se i mercati azionari salgono, i rendimenti dei titoli di stato scendono in quanto è più redditizio acquistare titoli ad alto rischio rispetto a % di profitto sensibilmente inferiori. Questa fase è definita “risk-on”;
  • Se i mercati azionari scendono, i rendimenti dei titoli di stato salgono in quanto non c’è fiducia nelle aziende, le fasi di recessione, di sfiducia e di alta inflazione fanno correre ai ripari gli investitori. Questa fase è definita “risk-off”. 

Ma se i rendimenti salgono perchè ancora non è conveniente acquistare titoli di stato? La risposta risiede nel fatto che il tasso di inflazione “mangia” tutti i profitti derivanti dal rendimento positivo del possesso dell’obbligazione. Pertanto nelle fasi di alta inflazione come quella che stiamo vivendo, potremo assistere ad un irrigidimento ancora più alto dei rendimenti fino a raggiungere livelli più estremi di questo. Nel momento in cui raggiungeremo il picco dell’inflazione, quello potrebbe essere il “vero momentum” per fare incetta di titoli di stato in giro per il globo.

Calendario economico della settimana

In questa settimana gli appuntamenti in calendario sono iniziati ieri con l’indice IFO sulla fiducia delle aziende in Germania, dato leggermente positivo. Martedì 26 Aprile è il giorno di alcuni dati importanti negli Stati Uniti, come i principali ordinativi durevoli e il rapporto sulla fiducia dei consumatori. L’indomani ben 2 appuntamenti della presidente della BCE Lagarde che ci delizierà con argomenti tendenti al nulla cosmico. Giorno a mio avviso clou sarà Giovedì 28 Aprile, in quanto nella mattinata europea in pre-apertura conosceremo le dichiarazioni della BOJ, Bank of Japan che ci darà qualche lustro su quello che sta accadendo nel Paese del sol levante. Inflazione bassa con materie prime alle stesse è un caso curioso che abbiamo già sollevato nella precedente lettera. Nessuno prende l’inflazione sul serio, convinti che tutto si scioglierà come neve al sole.

Perchè le banche centrali in particolare BCE, non combattono l’inflazione? La dietrologia dietro questo tema mi ha molto incuriosito in questi mesi e sto maturando l’idea che non si ha voglia di combatterla fino in fondo.

Perchè? Molto semplice il motivo: quando l’inflazione è alta il deficit del debito diminuisce a causa del maggior flusso in ingresso.

Per sbloccare la situazione la BCE potrebbe portare il tasso di deposito sopra lo zero, invece

siamo ancora bloccati con tassi negativi, che con un inflazione tra l’8 e il 10% non ha assolutamente senso.

Credo che per un pò saremo costretti a ripagare i danni dei nostri politicanti e dei soldi gratis per tutti, in attesa di un nuova coscienza Europea, più onesta, democratica e soprattutto meritocratica.



Risolveremo il curioso caso della Banca del Giappone?



Al prossimo articolo..!
 


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